Fibula Prenestina

La Fibula Prenestina è autentica

10/06/2011 di Filelleni

 

Parliamo anche di scritture di casa nostra. L’avete sentito? La Fibula Prenestina è autentica! Non è più un falso come aveva sostenuto nel 1979 l’epigrafista Margherita Guarducci, sollevando un putiferio. Le nuove analisi al microscopio elettronico a scansione, eseguite dalla ricercatrice del Cnr Daniela Ferro e dal restauratore Edilberto Formigli, hanno dimostrato che fibula e iscrizione sono inequivocabilmente antiche.

E tutti hanno tirato un sospiro di sollievo, lunedì scorso al Museo Pigorini dove lo studio è stato presentato in anteprima. Pareva che tutti non attendessero altro. Tutti come noi, un po’ in là con gli anni, cresciuti col mito della Fibula. “Manio mi fece per Numerio, la più antica iscrizione in lingua latina”, tuonavano i nostri manuali di scuola. E noi, bambini, ci abbiamo creduto. Per noi era un mito. Un po’ come il Guerriero di Capestrano, simbolo indiscusso di tutte le genti dell’Italia antica e icona di ogni libro di storia. Insomma la Fibula era un caposaldo, una certezza. E poco importava che il signor Wolfgang Helbig l’avesse fatta comparire quasi dal nulla, perché tanto nell’Ottocento così si faceva. Poco importavano anche i dubbi sulla sua pertinenza alla tomba Bernardini di Palestrina, al punto che gli oggetti della tomba sono oggi al Museo di Villa Giulia mentre la Fibula è al Museo Pigorini. Importava l’iscrizione. Era lei che contava davvero. Ed era antichissima.

Fino alla doccia fredda della Guarducci. “Helbig è un falsario” ha tuonato, e d’un tratto la Fibula è scomparsa dai manuali. Declassata. Sbugiardata, anche se dispiaceva un po’ a tutti. C’è stato pure chi, come l’etruscologo Giovanni Colonna, ha continuato a credere nella sua autenticità nonostante la scienza dicesse il contrario. Perché le analisi sulla fibula stimolate dalla Guarducci hanno evidenziato i molteplici interventi ottocenteschi che potevano indurre a sospettare il falso. “Ma oggi abbiamo altri strumenti rispetto a trent’anni fa”, ha subito precisato lunedì scorso Daniela Ferro. Mostrando poi i risultati delle nuove osservazioni ad alta risoluzione sulle superfici, e delle nuove analisi sulla composizione chimica della fibula.

È emerso che le diverse componenti della fibula sono realizzate con leghe diverse a seconda delle necessità: una percentuale maggiore di argento rispetto all’oro là dove serviva avere un materiale più duro (per esempio sul perno), mentre la staffa che doveva essere tenera ha più oro. E questa è consuetudine ben nota degli orafi etruschi. In aggiunta, Ferro ha individuato una riparazione sulla staffa eseguita già in antico, segno di un uso
prolungato della fibula nel tempo. Ha notato poi come il metallo abbia avuto il tempo di ricristallizzare dopo la fusione, e questo è avvenuto sia sulla
superficie liscia che all’interno dei solchi dell’iscrizione. E poiché tale ricristallizzazione impiega secoli, è praticamente impossibile che l’iscrizione
sia stata incisa poco più di cent’anni fa. Infine Ferro ha chiarito come gli acidi identificati già dalle analisi di trent’anni fa, siano sovrapposti all’iscrizione e non confusi con essa. Sono dunque il frutto della pulitura ottocentesca finalizzata a togliere tutte le incrostazioni per leggere con chiarezza l’iscrizione.

Di fronte alla scienza, nessuno nell’altolocato uditorio ha osato aprir bocca. Era convinto persino il glottologo Aldo Prosdocimi, un tempo
ferreo assertore della falsità dell’iscrizione. E pure l’archeologo Filippo Delpino ha accettato di buon grado i chiarimenti tecnici. Così la discussione
si è potuta librare su altri orizzonti, dal significato del “mi fece” (mi realizzò o mi donò?) alla funzione della fibula (oggetto d’uso o dono funebre?),
all’appartenenza o meno alla tomba Bernardini. La sua autenticità non pareva più argomento degno di nota. Ma l’uditorio era fatto di archeologi, linguisti,
storici. Mancavano i chimici, cioè i veri addetti ai lavori per questa circostanza. Mancava cioè chi potesse contestare a Daniela Ferro la strumentazione usata o le modalità dell’analisi o altro. Chissà se, dopo la pubblicazione delle analisi, qualche voce discorde si leverà. Ma forse siamo tutti troppo felici della Fibula riconquistata, per sollevare ancora dubbi. Siamo uomini non caporali. La nostra scienza è sì esatta, ma innanzitutto è umana.

LA “FIBULA PRAENESTINA”

Fu trionfalmente presentata nel 1887 dall’archeologo Wolfgang Helbig che sosteneva di averla acquistata da un amico e indicava come luogo di rinvenimento la tomba Bernardini, scoperta nel 1851 e scavata a partire dal 1871 nei pressi dell’antica città di Praeneste, l’odiena Palestrina. Ma già nel 1919 non venne più considerata tra i reperti di quella tomba a causa della provenienza incerta. Altre fibule simili sono state trovate tra Etruria (a Clusium, l’attuale Chiusi), Lazio e Campania, datate tra l’VIII e il VII secolo a.C. Attualmente è conservata al Museo Pigorini di Roma.

Si tratta di un monile d’oro, una cosiddetta fibula a drago, lungo 11,7 cm., che presenta una borchia rotonda con una spilla e il suo astuccio, sul quale sta un’iscrizione, che va da destra a sinistra, ritenuta il più antico documento scritto in latino, risalente al VII secolo a.C.:

In caratteri moderni, da sinistra a destra, si legge:

MANIOS MED FHEFHAKED NUMASIOI

In latino classico equivale a:

MANIUS ME FECIT NUMERIO

(Manio mi fece per Numerio) 

AD PRIMUM VIDETUR  …            (ARGOMENTI A FAVORE DELL’ANTICHITÀ)

  • la scrittura da destra a sinistra
  • la consonante “f” scrittafh
  • il nominativo in “os, il dativo in “oi, l’accusativomed, il perfetto “fhefhaked” con raddoppiamento
  • la forma arcaica delle lettere
  • la mancanza di “rotacismo” da Numasio a Numerio e il prevalere della “a”   sulla “e”.

Tutto ciò, se il documento è autentico, è una vera chicca per gli studiosi che ci vedono un’epocale fase di passaggio linguistico …

SED CONTRA …

La falsificazione in epigrafia e numisma­tica ha una lunga storia e l’esempio più clamoroso potrebbe essere proprio la Fibula Praenestina. Già al principio del XX secolo erano stati sollevati dubbi sull’autenticità, date le circostanze incerte del ritrovamento e la dubbia personalità dell’archeologo in odore di falsario. Nel 1980 l’epigrafista Margherita Guarducci accusò esplicitamente questa fibula di essere un falso, frutto della scellerata collaborazione tra Wolfgang Helbig e l’antiquario Francesco Martinetti.

Il suo punto di vista non ha finora raccolto unanimità di consensi in seno alla comunità scientifica e il dibattito resta aperto, in attesa di esami più sofisticati e precisi, anche se studi recenti avrebbero accertato che il metallo della fibula è stato trattato con una miscela di acidi per farlo sembrare antico e che l’iscrizione è stata incisa con il bulino, strumento sconosciuto all’oreficeria arcaica.